Gruppo di famiglia in un interno: domenica sera di quasi estate, cucina, famiglia a tavola (nel caso specifico la mia). Nel bel mezzo di un telegiornale, dopo un pomeriggio dedicato ai motori ti arriva la domanda che non ti aspetti. “Mamma, a cosa serve la città?”
Passato per un attimo lo stupore che questa domanda arrivi da una bambina di quasi otto anni e superato il sottile senso di colpa per averle fatto assorbire “involontariamente” una parte del tuo mondo, pensi che è una domanda interessante.
Interessante perché porta con sé altre domande sul ruolo dei diversi attori che “recitano” sul palcoscenico urbano.
Dopo lo shock provocato dalla pandemia e l’onda emotiva dell’abbandono in massa delle città a favore di borghi natii e località di vacanza, si sta facendo strada la certezza che le città continueranno a svolgere il loro ruolo anche se magari con modalità di fruizione diverse del passato.
Nel corso di questo anno e mezzo, all’insegna di lockdown più o meno forzati si è palesata una nuova idea di città che ha il proprio fulcro nell’assioma che la qualità della vita in questi centri urbani deve necessariamente migliorare e che il governo del territorio deve mettere in atto tutta una serie di azioni di programmazione mirate a consolidare la posizione e il ruolo delle città nella società post pandemia.
Nello specifico, le misure che potranno essere messe in campo per il mercato immobiliare dovranno essere orientate alla definizione di strategie di politica urbanistica che interpretano le infrastrutture immobiliari in maniera differente, in particolare sotto l’aspetto della flessibilità nella gestione degli spazi per rispondere in modo adeguato alle esigenze della domanda.
A questo fa eco la necessità di rivedere il concetto di quartiere: lontani dal modello di parti di città dedicate esclusivamente a determinate funzioni, è necessario interpretare la rigenerazione urbana con un’attenzione particolare alla presenza di strutture commerciali e di servizi di prossimità.
Ecco a che cosa serve la città: a creare le relazioni di vita, di lavoro, di studio e di divertissement attraverso la creazione di centri di aggregazione e immobili funzionali a svolgere al meglio le attività quotidiane.
Detta così sembra una cosa estremamente semplice, ma la storia ci ha mostrato come le città – almeno quelle italiane ed europee – abbiano interpretato, non sempre con successo, la propria funzione in considerazione degli eventi storici e dei mutamenti che ne sono derivati, come il passaggio a centri di produzione industriale a centri nevralgici per l’industria dei servizi.
Le città non mutano per un misterioso processo evolutivo ma, per l’azione dei diversi stakeholder, pubblica amministrazione in primis, per la definizione del disegno strategico e della attrattività del territorio, degli investitori, dei progettisti e delle imprese di costruzione chiamate, a vario titolo, a darne forma.
Perché questo processo abbia successo, diventa fondamentale che tutti le parti coinvolte nel rispetto dei propri ruoli si facciano parte attiva per il raggiungimento dell’obiettivo in tempi e modi in grado di rispondere adeguatamente alla domanda.
La città – di qualsiasi dimensione essa sia – deve essere la tela su cui poter tracciare percorsi di crescita e di trasformazione della società, oggi più che mai con una crescente attenzione alle tematiche della sostenibilità a tutto tondo e nel rispetto di un patrimonio da tutelare e valorizzare come driver per l’attrattività.