L’anno che si sta per chiudere ci ha visti ancora nel pieno di una pandemia che ha portato alla luce nuove tendenze e che ci ha portati a considerare le infrastrutture immobiliari e il loro utilizzo in maniera diversa.
Contrariamente a quanto molti avevano ipotizzato non è che tutto sia tornato come prima della pandemia o si sia stravolto completamente lo scenario tanto da portare le grandi città a svuotarsi, ma ci si è adattati ad una situazione mista che mixa in maniera dosata i due scenari.
È in questo scenario, che, come da tradizione, è stata presentato due settimane fa il rapporto sulle imprese dell’edilizia privata, edito da Guamari.
Un appuntamento che da un tempo fornisce una fotografia dettagliata di come le imprese che operano nel segmento dell’edilizia privata hanno performato nell’anno precedente, che nel caso di specie è stato il 2020, annus horribilis.
La classifica ci racconta di imprese che hanno, nonostante tutto, portato avanti i loro progetti di crescita o hanno consolidato il proprio posizionamento di mercato in un anno caratterizzato da alcuni mesi di stop forzato, incremento dei costi delle misure di sicurezza a causa del virus e decisioni di investimento che hanno subito uno stop forzato ma che al momento della ripresa in alcuni casi non sono stati riparametrati a costi decisamente cresciuti.
L’anno passato ha sicuramente consentito, nonostante tutto, ad alcune imprese di far emergere come alcune peculiarità del processo produttivo e del piano strategico abbiano ben risposto allo stress test imposto dalla pandemia.
In uno scenario come quello attuale, caratterizzato da un importante incremento dei costi delle materie prime, le 50 imprese edili più importanti si interfacciano prevalentemente con investitori istituzionali che non sempre vogliono adattare i propri piani di investimento ad una situazione completamente diversa da quella ipotizzata anche solo due anni fa.
Le parti, come è normale che sia, non sempre trovano un punto di contatto sulle richieste delle imprese per uno sforzo di “comprensione” ai committenti per la volatilità del mercato delle materie prime e gli investitori che ancora interpretano, in molte situazioni, il rapporto con le imprese di costruzioni con una sorta di conflittualità e di strenua difesa della propria posizione.
Ma a cosa è dovuta questa tauromachia tra imprese e investitori? Come in molte famose trame letterarie non esiste un “cattivo” o un “buono” in assoluto: esistono visioni differenti e che non sempre arrivano ad una posizione condivisa.
Resta inteso che è necessario da ambo le parti uno sforzo di comprensione e una propensione più spinta alla compartecipazione non solo alla firma del contratto ma anche e soprattutto in fase di definizione del progetto di investimento, con l’obiettivo di minimizzare i rischi che vanno inevitabilmente ad inficiare il risultato sotto la riga degli operatori o degli investitori o, in alcuni casi, di entrambe le parti.
In ogni caso, anche questa volta la volatilità del costo dei materiali avrà una fine, ed un’attività di lobby sapiente e non solo faziosa porterà ad un appianamento della situazione. Tuttavia, ancora una volta, il mercato e la congiuntura hanno fatto emergere un elemento fattuale indiscutibile: il mondo delle costruzioni non è più quello di cinquanta-sessanta anni fa. I margini non sono più gli stessi, le crisi che in vario modo hanno minato il settore hanno portato sempre di più ad una polarizzazione tra imprese grandi e strutturate e imprese piccole, con un vuoto incolmabile per quella fascia media che ha rappresentato l’hidden champion del secolo scorso fino al 2008. Questo non significa che il mercato attua una selezione naturale delle imprese, ma che le stesse per sopravvivere si vedono costrette a mettere in atto strategie di sopravvivenza che spesso richiedono profondi cambiamenti in termini di struttura e di capitali. Il rischio, non nuovo per il settore, è quello di vedersi catapultati nelle sale di Donnafugata, dimora estiva del Principe di Salina e del suo spasmodico desiderio dichiarato che tutto cambi affinché tutto rimanga come è sempre stato.