L’evento promosso da Assoimmobiliare, lo scorso martedì a Milano presso lo studio legale Légance, è stato l’occasione per presentare al pubblico il quaderno realizzato dal Tavolo Urbanistica dell’associazione sul tema delle novità normativa per le asset class innovative.Nel corso di una delle relazioni introduttive, è emersa un’espressione interessante: nulla cosmico. L’ha ripresa nel suo intervento Sabine Hutter – Vice Presidente di Prologis parlando di logistica. Non è solo una battuta: è un vuoto normativo, una zona d’ombra dove le definizioni mancano, le regole sfumano e le categorie si confondono. È un vuoto che tuttavia si muove, e che anzi brulica di azioni, investimenti, contraddizioni, progetti. Non si tratta di retorica, ma di realtà quotidiana: quella di chi prova a costruire – a volte letteralmente – dentro un sistema giuridico che sembra ancora pensato per una realtà industriale che non c’è più.
È forse la logistica il caso più eclatante. Un tempo c’erano i magazzini, i capannoni, gli interporti. Poi sono arrivati Amazon, l’e-commerce, le piattaforme urbane, le certificazioni ambientali. Oggi un centro logistico può essere un organismo intelligente, con tetti fotovoltaici e flotte elettriche, più simile a un’infrastruttura digitale che a un edificio. Ma la legge non lo sa. “Noi non sappiamo cosa sia la logistica”, ha detto l’avvocata Beatrice Ramelli con disarmante chiarezza. Il risultato è che ogni volta si riparte da zero: è produttivo o commerciale? È compatibile col piano regolatore o richiede variante? Intanto i progetti si bloccano, i comuni si spaventano, i fondi valutano di investire altrove.
Sabine Hutter, da parte sua, ha raccontato con passione il tentativo di dare a questi spazi anche un valore sociale. “Abbiamo recuperato un’area a Roma, che una volta era occupata da spacciatori e prostituzione. L’abbiamo chiamata Sex, Drug e Rock’n’Roll. Oggi è un quartiere riqualificato, vicino al centro, con una nuova vita.” La logistica, nelle sue parole, è diventata un modo per restituire qualcosa alle comunità. Non solo sostenibilità ambientale, ma anche presenza, infrastruttura, futuro.
Il racconto si è intrecciato con altri mondi: lo student housing, per esempio, dove la burocrazia rasenta l’assurdo. Samuele Annibali – Ceo di Campus X – ha portato un caso emblematico: a Bologna, per un residence da 680 posti letto, sono stati richiesti 1400 posti bici. “Li abbiamo messi perfino sul tetto”, ha detto con un sorriso amaro. Ma il problema non è solo nei numeri: è che uno studentato non è definito da nessuna parte. Può essere visto come residenza collettiva, come struttura ricettiva, come servizio. E ogni comune ha la sua interpretazione. Il risultato è che si negozia tutto, ogni volta. E si negozia anche male.
Non va meglio con il built to rent, dove il vero nodo è fiscale. Raoul Ravara – Managing Director di Hines Italia- ha spiegato il paradosso: se si costruisce per affittare, si ha diritto ad alcune agevolazioni. Ma se poi si decide di vendere, magari a un altro fondo, si perde tutto. “Bisogna fare delle operazioni societarie complesse, per evitare di perdere la qualifica di costruttore. È un delirio”. Il che rende molto difficile fare circolare capitali in modo fluido, come dovrebbe avvenire in un mercato maturo.
A fare da contraltare c’è l’esperienza di chi, come Paola Delmonte – Senior Advisor di REDO SGR, prova a immaginare un impianto normativo più semplice e coerente. Tre le parole-chiave: semplificazione, consolidamento, incentivazione. Semplificare i procedimenti, consolidare i diritti acquisiti, incentivare le operazioni con impatto sociale positivo. Sembra banale, ma in Italia è ancora rivoluzionario.
E poi ci sono loro: i data center. “Sono come frigoriferi pieni di stufette”, ha detto con autoironia Alberto Caccia – Director di Lombardini22. Ma sono anche infrastrutture critiche, senza le quali non esisterebbe l’Italia digitale che oggi tutti diamo per scontata. Anche qui, però, le definizioni mancano. Rosemarie Serrato ha spiegato che la legge urbanistica italiana, ferma al 1942, non sa come inquadrare questi oggetti. Sono direzionali? Produttivi? Servizi? Nessuno lo sa. E ogni volta si apre un contenzioso. “Non è possibile – ha detto – che un investimento da centinaia di milioni venga rimesso in discussione perché cento avvocati hanno cento opinioni diverse su cosa sia un data center.”
A fare da sfondo a tutto questo, c’è il lavoro silenzioso dei comitati tecnici, di cui ha parlato Guido Inzaghi – Presidente tavolo urbanistica di Assoimmobiliare. È lì che si cerca, spesso con pazienza certosina, di riscrivere le norme, di colmare le lacune, di tradurre in legge le esigenze reali. È lì che si discute del nuovo Testo Unico dell’Edilizia, della riforma urbanistica, dei titoli abilitativi. Ma è un lavoro lungo, sommerso, quasi invisibile. Ed è per questo che momenti di confronto pubblico, come questo convegno, sono preziosi: perché rendono visibile ciò che altrimenti resterebbe confinato nei corridoi istituzionali.
Alla fine, il quadro che emerge non è solo tecnico, né solo giuridico. È esistenziale, in qualche modo. Riguarda il modo in cui abitiamo le città, il modo in cui costruiamo spazi, relazioni, infrastrutture, ma riguarda anche l’equilibrio tra pubblico e privato, tra innovazione e regole, tra necessità e opportunità. Il “nulla cosmico” di cui si è parlato tanto non è una mancanza, ma un campo da disegnare. È lo spazio dove possiamo – e forse dobbiamo – immaginare una nuova grammatica dell’immobiliare.