Un pomeriggio di luglio, voci dal settore immobiliare italiano raccontano di una città in bilico tra passato glorioso e futuro incerto
C’è qualcosa di sospeso nell’aria milanese di questi giorni. Non è solo l’afa estiva o la quiete di fine luglio, ma un’immobilità più profonda che attraversa cantieri, uffici comunali e studi legali. È l’immobilità di una città che ha corso veloce per vent’anni e ora si trova ferma davanti a un semaforo rosso che nessuno sa quando tornerà verde.
Da locomotiva a città sospesa: storia di una trasformazione
Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano dal 1997 al 2006, rompe il silenzio con la franchezza di chi ha vissuto dall’interno la macchina della trasformazione urbana. “Abbiamo investito oltre 30 miliardi di euro in opere private, 6 miliardi in opere pubbliche. Non è mai successo nella storia di Milano, né prima né dopo”, dice con l’orgoglio di chi può mostrare i numeri. Ma dietro quei numeri c’è una strategia che oggi appare quasi archeologica: il dialogo preventivo con la magistratura.
“Il mio primo incontro con Francesco Saverio Borrelli”, racconta Albertini, “non è avvenuto per caso. Gli chiesi di aiutarmi con un pool di negoziazione per evitare che nelle transazioni potesse sospettare qualcosa di meno che lecito”. Una prassi che oggi suona rivoluzionaria: un sindaco che chiede alla procura di controllarlo preventivamente, non per paura ma per trasparenza strategica.
Vent’anni dopo, il panorama è radicalmente cambiato. Guido Inzaghi, presidente del Tavolo Urbanistico e voce autorevole del settore legale, descrive un labirinto kafkiano: “Questa mattina è stato disposto l’arresto per i soggetti coinvolti nell’operazione Park Tower, mentre ieri la Cassazione ha confermato il sequestro per il cantiere del parco delle cave. Nel contempo, sempre ieri, il TAR di Milano ha detto esattamente il contrario rispetto alla Cassazione”.
Il paradosso è evidente: le stesse norme vengono interpretate in modo diametralmente opposto da magistrature diverse. Per edifici superiori ai 25 metri, la procura di Milano e la Cassazione sostengono che serve il piano attuativo, mentre il TAR afferma che basta il permesso di costruire. “Le norme forse sono chiare”, ironizza Inzaghi, “il problema è che necessitano di un’interpretazione univoca”.
Dietro la tecnica giuridica si nasconde una realtà umana drammatica. “C’è una città come Nerano, 20.000 abitanti, 4.500 famiglie che hanno visto il collasso economico”, denuncia Albertini. Non si tratta solo di investitori internazionali che guardano altrove – “l’investitore ha un cuore di coniglio, delle zampe da lepre e una memoria da elefante”- ma di persone comuni che hanno investito i risparmi di una vita in case che ora sono in bilico.
Nel frattempo, gli operatori cercano di adattarsi. Andrea Amoretti di P3, specializzato in logistica, racconta come anche la rigenerazione di aree industriali dismesse richieda “un dialogo costruttivo con l’amministrazione, basato su sostenibilità ambientale e sociale, ma anche economica”. L’esempio di San Pietro in Casale, dove hanno riqualificato un ex zuccherificio, dimostra che quando c’è collaborazione tra pubblico e privato, i risultati arrivano.
Davide Albertini Petroni, presidente di Confindustria Assoimmobiliare snocciola numeri che sono significativi: migliaia di alloggi realizzati, oltre 25.000 posti letto per studenti costruiti negli ultimi anni, nuovi quartieri che hanno cambiato il volto di Milano e di altre città. È un valore sociale tangibile, non solo economico. Ogni edificio, ogni studentato, ogni intervento di rigenerazione urbana porta con sé posti di lavoro, servizi, opportunità per la comunità.
Petroni insiste su questo punto: l’edilizia, sia privata che pubblica, genera valore sociale. E bisogna dirlo forte, perché spesso l’opinione pubblica – alimentata magari da recenti scandali locali – tende a dipingere i costruttori come speculatori senza scrupoli. “Sembra che il nostro settore sia in mano a pochi soggetti, ma non è così,” sottolinea. Dietro al mattone c’è un’industria fatta di migliaia di professionisti in tutta Italia, gente che ogni giorno si rimbocca le maniche per progettare e realizzare pezzi di città. Altro che ‘palazzinari’: la filiera immobiliare italiana è ormai matura, diversificata e capace di adattarsi ai cambiamenti. Ha superato crisi durissime – come ricordano i presenti, dal crollo del 2008 alle recenti frenate post-pandemia – e continua a innovarsi, nonostante il contesto normativo spesso sfavorevole. “Abbiamo dato prova di grande capacità di adattamento,” dice Petroni, “e oggi contribuiamo a creare valore sociale, non solo profitti.” Parole che suonano quasi come un appello: riconoscere il ruolo positivo che il costruire può avere, se ben indirizzato.
Milano si trova così in un paradosso: da un lato è ancora “la locomotiva” economica del Paese, dall’altro rischia di fermarsi per eccesso di controlli. E questo stop forzato rischia di compromettere il percorso fatto nel corso di questi anni. Da un lato la speranza che Milano resti the place to be – attrattiva, vibrante, cool come dicono molti stranieri – e dall’altro la paura concreta che questa allure si spenga. La vera posta in gioco non sono solo i capitali, ma le persone: studenti, professionisti, famiglie che scelgono Milano per costruirsi un futuro. Se questi iniziano a guardare altrove, allora sì che Milano rischia di diventare una bella scatola vuota.
Il rischio paventato, dunque, è di entrare in un circolo vizioso: progetti fermi, meno case, meno persone attratte, meno crescita – e via così. Milano, che negli ultimi anni era salita sul tetto del mondo (almeno in Italia) per dinamismo, ora teme di scivolare giù. Ecco perché quella di Rusconi è “una speranza che è anche una paura”: speranza che Milano regga l’urto, paura che invece perda il suo ruolo di capitale internazionale.
La ricerca di una via d’uscita
Dal Senato arriva la voce del Senatore Maurizio Gasparri, che sta lavorando a una legge sulla rigenerazione urbana. “Il 4 maggio scorso fu approvato alla Camera un provvedimento definito impropriamente ‘salva Milano’”, spiega, “ma al Senato solo il nostro gruppo era disposto a portarlo avanti”. Il risultato? La proposta è morta in Parlamento, lasciando il settore senza certezze normative.
Ora il Senatore Gasparri prova un approccio diverso: “Abbiamo un testo unificato sulla rigenerazione urbana, con uno stanziamento di 80 milioni di euro. Mi auguro che entro l’anno il Senato possa licenziare questa legge”. Ma l’ottimismo è cauto: “Non sono ottimista per natura, ma sono determinato”.
La strada per uscire dall’impasse non è semplice. Serve, secondo gli esperti, una doppia mossa: da un lato una “sanatoria” per le famiglie coinvolte nei cantieri bloccati, dall’altro una riforma organica che chiarisca le regole del gioco. Ma soprattutto, serve ripensare il rapporto tra i poteri dello Stato.
“Bisogna rimettere gli orologi a posto nella divisione dei poteri”, conclude Albertini. “Io ho chiesto all’inquisitore di aiutarmi, non è stato l’inquisitore che mi ha detto di assoggettarmi a lui”.
Il futuro di Milano è un cantiere aperto: non è solo una metafora, ma la realtà con cui fare i conti. In fondo, come ha suggerito qualcuno durante il dibattito, qui gli interessi di tutti convergono. Nessuno, né pubblico né privato, ha da guadagnare da una città impantanata. E allora la ricetta, pur nella sua complessità tecnica, torna a essere semplice nel principio: lavorare insieme, ciascuno per la sua parte, per rimettere la locomotiva sui binari giusti. Ci vorranno regole nuove, più chiare e stabili, ci vorrà coraggio decisionale e forse anche un pizzico di quella follia visionaria che trasforma i problemi in opportunità. Milano l’ha già fatto in passato – rialzandosi da crisi ben peggiori – e può farcela ancora.
La domanda finale resta aperta, ed è quasi una scommessa collettiva: riuscirà Milano a ritrovare la sua corsa senza perdere sé stessa? Nessuno ha la risposta in tasca. Ma se c’è un messaggio che queste voci ci lasciano, è che arrendersi non è un’opzione. C’è una città da reinventare, e il cantiere delle idee è già partito. Sta a tutti noi, adesso, immaginare – e costruire – la Milano che verrà.