E se fosse vero che oltre al mal d’africa esiste un male d’edilizia? Forse può sembrare una forzatura ma solo chi in questo settore ha speso giornate conosce il fascino della vertigine che si prova ogni volta che si da inizio ad una qualsiasi realizzazione edile.
Edilizia e real estate in un connubio sempre più indissolubile rappresentano una magnifica ossessione per molti.
Un comparto economico che al di là della percentuale del Pil nazionale che affonda le proprie radici nella storia del nostro paese culla di grandi e importanti costruzioni ed esportatori di saper fare per molta pare del secolo scorso.
Un settore, quello che ho raccontato nel corso di questi quattro anni, che ne ha passate veramente tante, una serie anche troppo lunga di montagne russe che tuttavia hanno avuto il pregio di consolidare alcune realtà industriali che sono riuscite ad attraversare e superare questa tempesta perfetta.
Una tempesta, quindi, “quasi” perfetta iniziata nel 2007 che ha portato alla ridefinizione del settore e fatto emergere alcune tendenze.
Nel percorrere gli articoli del mio blog ho idealmente intrecciato un fil rouge alle mie parole lasciate sul web: la rigenerazione urbana, la valorizzazione del territorio, le asset class alternative e le imprese che non sono più quelle di cinquanta-sessanta anni fa.
Quello che si è delineato è un mercato diverso che è passato da interpretare l’attività edilizia come mera cementificazione indiscriminata priva di progettualità che lasciava dietro di sé cattedrali nel deserto della provincia a un’attività volta alla riqualificazione e alla rigenerazione di città e quartieri.
Attività che ha dato vita alla trasformazione della skyline di alcune delle nostre città, Milano in primis, che si è trasformata da “Milano da bere” a polo di attrazione degli investimenti internazionali.
Non di meno, molta attenzione hanno calamitato nel corso degli ultimi 18 mesi le location secondarie, un riscatto d’orgoglio per le cosiddette città di provincia che hanno rivisto un aumento dei residenti, per non parlare del ritorno ad un turismo di prossimità non più legato alla imposta pausa ferragostana.
Sullo sfondo la ritrovata voglia di alcune illuminate pubbliche amministrazioni di aprire un canale di dialogo con la controparte privata per dare vita ad operazioni di partnership pubblico-private volte a riconsegnare al territorio parti di città che hanno “terminato” la propria funzione originaria, tramite operazioni di recupero di infrastrutture immobiliari verso una nuova destinazione turistica e culturale, in un paese che concentra sulla propria superficie il più elevato numero di siti Unesco.
Proprio questa vocazione turistica e culturale, che serpeggiando per tutto lo stivale – isole comprese – potrebbe contribuire al recupero di reddittività di molte parti del nostro paese a lungo aree depresse.
Tutto ciò alla luce di nuovi fondi che arriveranno anche dal governo comunitario e che potranno, in parte, essere dirottati sul settore delle costruzioni e del real estate.
La sfida che attende, ancora una volta le aziende del comparto è quella di capitalizzare il proprio know how coniugandolo con innovazione, digitalizzazione e industrializzazione alla ricerca di un prodotto finale in grado di plasmarsi alle nuove esigenze di una domanda orientata a cogliere le opportunità fornite in modo naturale dal nostro territorio.