Il termine innovazione ormai diffuso e a volte usato in modo improprio sottintende una varietà di elementi e sfumature. Innovativo però non può essere legato esclusivamente al prodotto e al suo processo produttivo ma anche al modo che una realtà, sia essa istituzione o
impresa, ha di porsi in un’ottica diversa rispetto alla platea dei competitors.
Uno dei settori che più di ogni altro sembra essere impermeabile all’innovazione è, nel suo complesso, il settore delle costruzioni.
Il paradigma “si è sempre fatto così” ha rappresentato il liet-motif di molte imprese anche durante il lungo periodo di crisi iniziato nel 2008 e in certe parti del paese non ancora terminato.
Un comparto industriale in grado di coprire circa il 20% del PIL nazionale, che ha contribuito nei decenni scorsi a rappresentare l’Italia sul palcoscenico internazionale, si è dimostrato nel suo complesso impreparato a gestire la propria realtà aziendale in un contesto di mercato totalmente differente sia per il numero di operazioni che per le difficoltà del clima generale.
L’innovazione è entrata a gamba tesa su questo settore e ha fatto sì che emergessero i migliori esempi di un’industria che era e rimane per molti aspetti un’eccellenza.
Andando ad analizzare quali sono le innovazioni che hanno maggiormente influito sul settore, partendo dalla digitalizzazione e passando poi per l’aggregazione e l’evoluzione del prodotto, si evince quale sia l’impatto sul modo di essere impresa.
Il modello di apertura al capitale istituzionale che ha caratterizzato le imprese manifatturiere negli anni ’90 del secolo scorso, e l’interesse da parte dei fondi di investimento nell’entrare nel
capitale di queste aziende non aveva ancora toccato le imprese del settore delle costruzioni.
Nel corso di questi anni alcune iniziative specifiche sono state messe in campo per il numeroso parterre di piccole e medie imprese che hanno voluto aprirsi ai capitali istituzionali.
In primis l’operazione di promozione di finanziamento alternativo rispetto al debito bancario grazie ai mini bond e poi la piattaforma di Borsa Italiana S.p.a. che con la creazione del programma Elite, ha messo a disposizione delle imprese di medie dimensioni un percorso per avvicinarle al mondo della quotazione in Borsa.
Per accedere al programma tuttavia, le imprese devono dimostrare di rispondere ad alcuni requisiti di natura finanziaria ma soprattutto di aprirsi in termini di comunicazione.
E’ di qualche giorno fa la notizia che l’impresa Percassi di Bergamo è approdata al segmento Elite. Un passo quasi scontato per un’azienda che ha affrontato nel corso dell’ultimo anno un percorso che l’ha portata a raddoppiare il proprio fatturato, ad essere parte di una holding che consente un’integrazione di filiera efficiente e ad avere una particolare attenzione al tema dell’innovazione di prodotto grazie anche allo sviluppo di progetti con l’utilizzo del BIM, la cui punta di diamante è rappresentata dalla realizzazione di un intero quartiere a Bergamo, denominato “Chorus life”. Ma prima di tutto questo, ulteriore passaggio è stato il closing per un prestito obbligazionario di 10 milioni di €.
Per molto tempo il settore storicamente legato a doppio filo alla finanza di debito ha cercato di trovare forme alternative di finanziamento, scontrandosi con una generale diffidenza degli investitori istituzionali nei confronti delle imprese edili, ritenute tradizionalmente poco “innovative” e il cui andamento è funzione delle singole commesse.
Una prima tappa fondamentale per sfatare due falsi miti: le imprese edili sono ancora fuori da logiche finanziarie tipiche delle aziende manifatturiere e gli investitori istituzionali non le ritengono attrattive dal punto di vista dell’investimento.
L’impresa Percassi rappresenta uno degli esempi più completi di azienda che in questi anni di crisi ha saputo affrontare le sfide che un mercato profondamente cambiato ha messo sul piatto del sistema imprenditoriale.
Quelle che all’inizio di questo secolo venivano definite imprese della old economy possono essere, al termine di questo lungo periodo di crisi, esempi di “new” economy, con un occhio alla tradizione del prodotto e l’altro all’innovazione del processo produttivo.