real estate

by Valentina Piuma. Blogger, Economia, Centro Studi.

Francamente fa un certo effetto vedere su uno dei quotidiani più rinomati del Regno Unito che si autodefinisce “l’unico quotidiano britannico a diffusione nazionale privo di un proprietario e indipendente rispetto ai partiti politici, la foto di una delle fontane di Acqui Terme ridente cittadina termale del basso Piemonte a pochi chilometri di distanza dal mio paese natio.

Al di là degli effetti ancestrali del richiamo della terra anche a chi non ci vive stabilmente da più di vent’anni, l’articolo apparso su The Guardian sabato 28 ottobre a firma di Juliana Piskorz, che apre le ridenti colline piemontesi allo sguardo internazionale, fa il paio con un altro articolo comparso solo pochi giorni prima su Il Sole 24 ore a firma di Paola Dezza sul fatto che la domanda di casali in Piemonte si ponga in cima alla classifica delle regioni italiane dove gli investitori internazionali soprattutto del nord Europa, vanno ad investire.

Ma quali sono i fattori complici di questa inaspettata attrazione di capitali stranieri per una regione storicamente “low profile”?

Sicuramente la bellezza del territorio, la vicinanza al mare, un patrimonio eno-gastronomico eccezionale, una diffusione culturale (recente manifestazione di amministrazioni lungimiranti, come raccontato nell’articolo dedicato alla Via del Sale), ma anche una componente prezzo che non può sfuggire allo sguardo di investitori attenti.

Il Piemonte infatti non è solo Torino, ma è anche Cuneo, Asti e i paesi della provincia che hanno dato i natali a importanti esponenti della cultura, che non hanno mai dimenticato che il gioco “nazionale” è il pallonepugno o pallone elastico o che le acciughe si mangiano con il burro.

Chi conosce un po’ queste terre sa che hanno la dolcezza tipica del corpo femminile e che con una certa ritrosia tendono a nascondersi, curva dopo curva, protette dalle molte torri medievali.

Andando ad analizzare nel dettaglio il fenomeno, viene quasi naturale il paragone con il tempo della vendemmia e del vino, soprattutto rosso, che ha bisogno di un po’ di anni per essere bevuto al suo meglio.

Il merito della prima fase della rinascita del Piemonte è da tributare, a mio modesto avviso, a Carlin Petrini storico patron di Slowfood, associazione nata nella riservata Bra nel 1986 e che si è posta come obiettivo la promozione del diritto a vivere il pasto e tutto il mondo dell’enogastronomia innanzitutto come un piacere, come risposta al dilagare del fast
food, del junk food e delle abitudini frenetiche, non solo alimentari.

Da lì il proliferare di manifestazioni enogastronomiche che hanno portato nel corso degli anni turisti nazionali ed internazionali in paesi molte volte desolati che vivevano solo alcuni giorni l’anno – soprattutto nei mesi estivi.

Adesso sta nelle mani delle amministrazioni locali sapere accogliere e aiutare gli investitori stranieri che vogliono ridare nuova vita a centri rurali che altrimenti si trasformerebbero inevitabilmente in paesi fantasma come i set abbandonati dei film western degli anni sessanta a Tabernas in Andalusia.

Inoltre, effetto non trascurabile, gli investimenti in immobili che necessitano di ristrutturazioni possono creare un indotto per le piccole aziende di costruzioni e per gli artigiani locali.

Un grande aiuto può derivare dalla tecnologia che permette di essere sempre raggiungibili e connessi con il mondo, nel tempo di un click.

Tornando all’articolo comparso lo scorso weekend su The Guardian, una parte centrale del testo era dedicata ad uno dei prodotti locali più famosi: la nocciola e alla sua capitale Cortemilia, ameno paese medievale nelle Langhe che pare si trovi, dal punto di vista geografico, al centro del mondo.

(Original Picture by Nino Farinetti – http://www.farinettiwedding.com/it)